il canto di chi ti ama, ti chiama alla vita
La fiaba de l’usignolo di Andersen è una fiaba molto ricca di spunti di riflessione e alcuni desidero condividerli con voi.
La storia racconta di un imperatore cinese il quale scopre che nel suo giardino abita un usignolo e intraprende con quest’ultimo un tentativo di amicizia. La storia vedrà l’uccellino allontanarsi nel momento in cui la sua unicità non viene più riconosciuta, per poi tornare presso l’imperatore in un ultimo atto d’amore.
Innanzitutto, l’imperatore scopre dell’esistenza dell’usignolo da altri.
“tutto il mondo sa quello che possiedo e io no!”
Questa frase mi ha fatto sorridere per quanto sia vera. Accade infatti che per riscoprire una bellezza anche dentro al nostro giardino (o al nostro cuore?) sia necessario vedere attraverso gli occhi o il racconto di un altro.

Un altro passaggio che mi ha colpito è come il pescatore e la sguattera reagiscono di fronte al canto dell’uccellino: l’uno esclama “Dio mio che bellezza” per poi dimenticarsene (eh sì, si può dimenticare una cosa bella, anche appena sentita!) ma poi quella riaccade e di nuovo il pescatore esclama “Dio mio che bellezza!”
Nelle parole della sguattera ritroviamo la meraviglia del pescatore, ma raccontata in una modalità più affettiva: ella infatti descrive il canto dell’usignolo come “se la mia mamma mi baciasse”, la dolcezza e l’amore che sente verso di sé per quella meraviglia a cui assiste è paragonabile all’amore della sua mamma. È un’immagine bellissima che persino i bambini possono capire.
Per la Corte dell’imperatore invece è molto difficile riconoscere la vera bellezza tanto che non potendo immaginare un canto così bello scambiano qualunque suono per il possibile canto dell’usignolo e di fronte all’uccellino, non riconoscendo dall’aspetto le potenzialità di quella bellezza nascosta, lo deridono. L’uccellino accetta l’invito di andare a cantare per l’imperatore il quale a sentire questo meraviglioso canto comincia a piangere. In quell’emozione scaturita nel volto del sovrano l’usignolo si sente ricompensato. Egli ha il dono di cantare la meraviglia del mondo e nel vedere le lacrime dell’imperatore capisce che l’uomo se ne è accorto, riconosce che quell’imperatore sta vivendo insieme a lui la sua stessa meraviglia e non c’è ricompensa più grande se non il condividere l’accorgersi di una cosa incredibilmente bella e vera che accade.
La Corte reagisce a questa nuova bellezza come a qualcosa che debba essere tenuto sotto controllo, posseduto. Cominciano così le limitazioni alla vita del povero usignolo il cui canto non è più dono per tutti ma proprietà di qualcuno. L’amore, quindi, non cede più al riconoscimento e alle lacrime ma si fa specchio di un’insicurezza che è paura di perdere una bellezza considerata solo per sé e in cui valore è esito della propria misura, del proprio dominio.
Un giorno giunge questo uccello artificiale il cui canto prevedibile non si sposa col canto dell’usignolo, che ne approfitta per riguadagnare la libertà perduta. Gli unici a riconoscere “la mancanza di qualcosa” sono i pescatori che non cedono all’effimera bellezza dell’uccello meccanico. Ma per comprendere e cogliere che cosa manca la storia deve andare avanti e svelarci finalmente il giudizio che ci attende. L’uccello meccanico si rompe e il suo canto diventa un momento unico e prezioso che può accadere solo una volta l’anno l’imperatore lo ricopre d’oro di tesori ma egli non ha un’anima e non può offrirgli l’amicizia che desidera.
Una notte la morte decide di andare a prendere l’anima dell’imperatore, si posa sul suo cuore mostrandogli le conseguenze delle sue azioni e delle sue scelte. L’uomo non respira sotto il peso delle sue responsabilità e chiede all’uccello meccanico di offrirgli conforto consolazione ma egli non è e non può donare nulla a meno che non venga azionato da altre persone. L’imperatore è solo e abbandonato, già dato per morto da coloro che lo circondano ed ecco all’improvviso si leva il canto dell’usignolo giunto alla finestra. Col suo canto, l’uccellino fa nascere la nostalgia della vita nel cuore della morte che si allontana dal sovrano! Un’altra meraviglia!

Ĕ una cosa che accade spesso nel mondo della fiaba, come se la morte nel suo mettere fine alla vita in realtà tenda alla vita essa stessa, quasi ne fosse attratta, e accade alle volte che per piccoli piaceri nasca nel suo cuore la nostalgia, il richiamo alla vita. Ricorda un po’ la sorella morte di San Francesco, essa stessa parte della vita e del mondo ma non per questo giudicata negativa bensì arricchita di una personalità che nell’adempiere il suo compito cede anch’essa alla bellezza e alla meraviglia della vita e del mondo. L’usignolo fa nascere nel cuore la nostalgia perché l’usignolo canta della vita e della meraviglia del mondo e il suo canto è segno di questo, si nutre della bellezza che accade intorno a lui e per questo motivo non vuole essere rinchiuso in un palazzo perché mancherebbe ciò da cui scaturisce quella sorpresa e quel canto.
L’usignolo propone all’imperatore un’amicizia, non vuole ricompense, a lui interessa la condivisione, desidera donare felicità e pensiero, consapevolezza, ammettendo di amare il cuore dell’imperatore più della propria corona senza per questo venir meno a ciò che quella corona rappresenta ovvero il compito e la responsabilità dell’imperatore.
In ultimo chiede di non raccontare a nessuno della sua presenza per evitare che nuovamente si cada nella trappola dell’amore come possesso e che egli venga di nuovo catturato e costretto a una vita al guinzaglio, fosse anch’esso di seta.
L’amore infatti si nutre della condivisione e del guardare insieme alla bellezza che accade nel mondo riconoscendo per primo il grande dono di un’amicizia possibile adesso per sé.
