ovvero piccola storia della speranza e dell’eternità del narrare
“Tutti amiamo le favole meravigliose perché il se toccano la corda dell’antico istinto dello stupore. Ciao è comprovato dal fatto che, quando siamo molto piccoli non abbiamo neanche bisogno delle favole: ci bastano le storie. La vita per se stessa ci pare interessante.”
Desidero cominciare da questa frase di Chesterton che ci riporta alla prima azione fondamentale che l’adulto fa nei confronti del bambino che è l’azione di raccontare. Negli ultimi anni c’è stato un fiorire di studi sullo sviluppo del linguaggio attraverso la lettura e si è sviluppata con essi anche l’editoria della letteratura per l’infanzia. Ciò ha portato a un crescente interesse da parte delle famiglie e della scuola verso l’educazione alla lettura. Ma prima dell’educazione alla lettura c’è un momento preziosissimo che è quello del racconto. Chesterton ci riporta alla verità e al fatto (e vi invito ad andare a verificarlo che i bambini) che i nostri piccoli sono interessati a qualunque tipo di storia che ci riguardi e che riguardi loro, prima ancora delle favole, delle fiabe e dei libri sono interessati a un adulto che racconta.
“Avevo sempre sentito la vita prima di tutto come una storia: e se c’è una storia ci deve un narratore”
La vita è una grande storia e l’uomo è da sempre interessato a raccontare le storie che vive e la sua storia. Gli uomini primitivi cominciarono facendo dei disegni sui muri per poi pian piano arrivare a capire che c’era bisogno di un codice, di uno strumento molto più preciso e dettagliato e in virtù di questo il linguaggio si è rivelato vincente perché se con il disegno posso raccontare una storia con il linguaggio posso raccontare anche il significato che quella storia ha per me. Con il linguaggio, con le parolesi può condividere con chi ascolta ciò che più preme della propria storia e il livello di condivisione diventa esistenziale.
Per i bambini (ma anche per noi) sono interessanti i racconti che ci parlano della vita, la fiaba è un tipo di racconto che vuole raccontare quello che accade nella vita, ma non solo, vuole raccontare i significati che si muovono e che accadono all’interno della vita di tutti gli uomini così che il bambino (e anche noi) possano riconoscerli nella loro vita imparando a riconoscerlo prima nella fiaba.
Allora un adulto che racconta è un adulto che non ha paura di raccontare la vita, che regge l’urto che si vive nella vita sia esso l’incontro con una bellezza che inonda la quotidianità o l’irrito del male che ,non è risparmiato all’eroe, per poter crescere. L’adulto diventa quindi nel raccontare un luogo di memoria, un luogo di ricordo.
Ho trovato un albo illustrato molto bello che introduce proprio a questo. Ogni storia racchiude in sé la grande promessa che vede il mondo che circonda il bambino, non come un luogo ostile per cui occorre essere preparati, ma un luogo ricco di bene in cui occorre riconoscerne i segni non solo per difendersi dal male ma soprattutto per imparare ad accogliere ciò che il tuo bene, ciò che ti aiuta ad affrontare il male e ti dà gli strumenti per scoprire qual è il tuo posto nel mondo. Potete così comprendere che la promessa educativa è quella di considerare sia ciò che nella vita crea delle ferite sia ciò che invece va a nutrire il cuore e a costruire un gusto nuovo nella vita. E questa storia vuole riportarci a questo.

Ognuno di questi cavalieri ha un talento e decide di utilizzare questo talento per conquistare il proprio destino, ognuno di loro è posto di fronte alla scelta di come usarlo. Sette cavalieri, sette draghi e sette principesse. La storia ci porterà a scoprirne il compagno più “affine”, mostrandoci di ognuno la propria scelta e motivazione. Seguiamo le vicende e l’incontro di ogni Cavaliere con la testa del drago fino all’ultimo Cavaliere il cui talento è quello di saper ricordare.

Egli è posto di fronte all’ultima testa di drago che sapeva ascoltare, entrambi superstiti degli incontri precedenti. Il Cavaliere che sapeva ricordare ha guardato tutto ciò che è accaduto prima, accorgendosi che mancava un’ipotesi di bene nei confronti del drago. È andato armato incontro all’ultima testa (si prepara alle conseguenze possibili di questo gesto) e invece di un nemico trova un ascoltatore amico.

La principessa che sapeva sorridere risulta essere la sua scelta, anche lei è l’ultima rimasta ma ciò viene interpretato come un’ulteriore promessa di bene per lui e diventa l’occasione per scoprire che la cosa più bella da ricordare nella vita e che esiste: la felicità. Quel sorriso per il Cavaliere è la promessa di felicità per sé, diventa il segno di un bene destinato a lui e che lui desidera ricordare in eterno. Si chiama Speranza.

Il drago dalle 7 teste, Margherita Sgarlata e Riccardo Francaviglia editore “è un libro bohem”.
