Il racconto, che ci fa sentire vicini, chiede di essere custodito e attraversato.

Quando leggiamo una fiaba, meglio ancora quando raccontiamo una fiaba si può creare un legame più stretto tra narratore e ascoltatore per la condivisione che in quel momento sta avvenendo.
Nel momento in cui raccontiamo, una parte di noi si intreccia con la storia, emergendo attraverso le voci, le posture e le parole che scegliamo. Ciò che apparentemente ci potrebbe sembrare “istintivo”, non è altro che il riflesso di ciò che siamo e di come, in quell’istante, lasciamo spazio a quella parte di noi giocosa che vuole dar vita alla fiaba. Il gioco non è necessariamente qualcosa di infantile, giocare allude a una libertà, a una spontaneità, ad una comunicabilità autentica di sé.
Allora il bambino diventa spettatore dell’intima essenza dell’adulto che ha davanti e riconosce in essa la verità già pregustata nel contenuto del racconto scelto. Si crea un legame tra l’adulto e il contenuto della fiaba che è tanto più vero quanto la scelta di quella fiaba sia nata da un intento di condivisione da parte dell’adulto.
Se il bambino da una parte rimane affascinato da un momento di spontanea e autenticità di chi narra, l’adulto può riscoprire un contenuto umano che parla tanto a lui quanto al bambino e scoprire l’occasione di poter essere custode di ciò che implicitamente il bambino coglie in alcuni passaggi della fiaba.
A volte ci stupiamo di cosa i bambini vivono dentro le fiabe, di come si facciano penetrare da esse e con che intensità rivivano certi avvenimenti della loro vita, anche nel tentativo di scoprire un significato nuovo.
La tentazione di esplicitare al bambino e ad altri ciò che sta accadendo in nome di un “dover capire” o di un “dover prendere coscienza” rischia di essere una tentazione molto alta per l’adulto.
Eppure quando accade, quando ci lasciamo prendere da questa tentazione ciò che vediamo è un bambino che si ritrae la maggior parte delle volte.
Non sempre ciò che viviamo desideriamo esplicitarlo.
Non sempre la sofferenza o la difficoltà che stiamo attraversando desideriamo capirla subito.

Molte volte occorre il tempo di attraversarla, come nell’albo illustrato “A caccia dell’orso” (di Michael Rosen e Helen Oxenbury ) non si può evitare ciò che ci accade, si può solo attraversare e ciò chiede di essere vissuto, non capito.
Il capire è un processo che avviene in un tempo molto più lungo ed è un risultato che riusciamo a raggiungere nel migliore dei modi, solo se ci siamo dati il tempo e lo spazio di attraversare così come potevamo ciò che stavamo vivendo. A volte una persona che ci dice la verità di quello che stiamo vivendo non ci è utile se noi non siamo pronti ad accogliere quella verità. Così il bambino che nella fiaba rivive un suo cruccio, non desidera essere scoperto ma lentamente accompagnato in quel bosco, in una rispettosa distanza che esprime una presenza e mostrando la capacità di poter custodire quel momento come un segreto.
Ecco quando noi leggiamo o meglio ancora se raccontiamo una fiaba e vediamo quello sguardo accendersi, siamo diventati improvvisamente custodi di un grande segreto. Il segreto che quella fiaba parla a me e a te, forse in modo diverso, ma della stessa vita e ci ricorda che le nostre umanità sono intrecciate e che io adulto sono qui per te, in questo momento, per accompagnarti e custodire ciò che sei.