La storia comincia con un preambolo su uno specchio costruito dal Diavolo in persona per divertimento:

“il diavolo.” Un giorno era proprio di buon umore, perché aveva costruito uno specchio che aveva la facoltà di far sparire immediatamente tutte le cose belle e buone che vi si rispecchiavano, come non fossero state nulla; quello che invece era brutto e che appariva orribile, risaltava ancora di più.
..a un certo punto lo specchio tremò così terribilmente per le risate, che sfuggì loro di mano e precipitò verso la terra, dove si ruppe in centinaia di milioni, di bilioni di pezzi, e ancora di più. E così fece molto più danno di prima, perché alcuni pezzi erano piccoli come granelli di sabbia, e volavano intorno al vasto mondo, e quando entravano negli occhi della gente vi rimanevano, così la gente vedeva tutto storto, oppure vedeva solo il lato peggiore delle cose,
Lo specchio non restituisce la realtà nella sua specularità, ma la interpreta ingigantendo il grottesco, deridendo la debolezza di chi vi si accosta e le sue imperfezioni, alimentando un atteggiamento di sospetto e di tradimento di ciò che giunge al mio sguardo. Guardare ciò che ci circonda, con la lente che volge al brutto, fa risaltare ai nostri occhi ciò che è sgradevole, mostra nel tempo una realtà che non nutre più il nostro bisogno di riposare nella bellezza o di godere del calore di un’amicizia. Lo stesso autore ci mette in guardia proprio dall’esperienza più dolorosa eppure cosi comune, ovvero guardare così gli amici
ma non era il caso di guardare i propri amici attraverso quei vetri;
Non è quindi un vissuto così estraneo a noi, e Andersen riesce a creare un’immagine così calzante come di un frammento che diventa una lente che interpreta tutto volgendolo al peggio. Non c’è rischio più reale eppure subdolo da cui dobbiamo imparare a guardarci.
Kay è un bambino molto amico di Gerda e insieme vivono i frutti di quest’amicizia dolce

Non erano fratelli, ma si volevano bene come se lo fossero stati. I genitori erano vicini di casa, abitavano in due soffitte nel punto in cui i tetti delle due case confinavano e le grondaie si univano si affacciava da ogni casa una finestrella; bastava solo scavalcare la grondaia, per poter passare da una finestra all’altra. I genitori avevano messo lì fuori ognuno una grossa cassa di legno e in questa crescevano le erbe aromatiche che usavano in cucina, e un piccolo roseto…
Accade che proprio Kay riceve due frammenti di specchio, uno nell’occhio e uno nel cuore.
«Ahi! Ho avuto una fitta al cuore, e mi è entrato qualcosa nell’occhio!». La bambina gli prese il capo; lui sbatteva gli occhi, ma no, non si vedeva niente. «Non credo che sia uscita» disse, ma non era così. Era proprio uno di quei granellini di vetro che si erano staccati dallo specchio, dallo specchio magico, ce lo ricordiamo quell’orribile specchio che rendeva tutte le cose grandi e buone che vi si specchiavano piccole e orribili, mentre le cose cattive e malvage risaltavano molto e di ogni cosa si vedevano subito i difetti. Povero Kay, anche lui aveva ricevuto un granello, proprio nel cuore. E il cuore gli sarebbe presto diventato di ghiaccio; ora non sentiva più male, ma il granello era sempre là.
Kay cade “vittima” dello specchio e rischia che gli si geli il cuore. Curiosa quest’immagine, associare l’espandersi del male nel cuore al ghiaccio, a ciò che toglie la vita e relega all’immobilità. Nel ghiaccio c’è perfezione, ma non c’è vita, c’è la bellezza delle sculture lucide e che brillano al sole, eppure sono fredde, prive di un calore, di un abbraccio. E così è lo sguardo di Kay. Gode della bellezza perfetta dell’ordine di un fiocco di neve, lamentando di non poterlo possedere. Ma la conoscenza non è per possedere le cose. Si dovrebbe rilegge per questo “Il Piccolo Principe” quando incontra l’uomo che conta le stelle.
«Guarda in questa lente, piccola Gerda!» disse, e ogni fiocco di neve divenne molto grande e sembrò un meraviglioso fiore o una stella a dieci punte; era proprio meraviglioso. «Vedi come è ben fatto!» disse Kay «è molto più interessante dei fiori veri. Non c’è neppure un difetto, sono tutti identici, se solo non si sciogliessero!»
Kay comincia a deridere i difetti degli altri e trova godimento solo nella memoria di numeri e scale, senza che questi siano collegati a un senso di meraviglia. Mentre corre con lo slittino pensa solo al guadagnare velocità per allontanare gli altri, non è più interessato all’amicizia ma all’affermare sè. Non cerca relazione, ma autoaffermazione. Passa di lì una signora bellissima con la slitta e per poter andare ancora più veloce Kay si attacca alla slitta in corsa fino a non riuscire più a liberarsi.
Kay era spaventatissimo, voleva recitare il Padre Nostro, ma riusciva solo a ricordare la tavola pitagorica.
Volarono sopra boschi e laghi, sopra giardini e paesi, sotto di loro soffiava il freddo vento, ululavano i lupi, la neve cadeva, sopra di loro volavano neri corvi gracchianti, ma sopra a tutto brillava la luna, grande e luminosa, e alla luna Kay guardò in quella lunghissima notte d’inverno; quando venne il giorno dormiva ai piedi della regina della neve.
Era la terribile regina della neve.

Lo specchio diventa emblema del male che a volte entrando nel nostro cuore ci allontana dall’amicizia e dal senso di stupore per le cose che ci circondano fino ad allontanarci da noi stessi. E Andersen ci guida nell’imparare a riconoscere le nostre debolezze, raccontandoci la storia di chi è riuscito a sconfiggerlo.
qui sotto i primi due capitoli