amore e eternità nella Sirenetta di Andersen
La fiaba della Sirenetta di Andersen è una delle più famose (e più lunghe) ma non tutti ne colgono i passaggi più belli!
Si comincia con una descrizione accurata del fondale marino e dei suoi abitanti, della loro vita, ma in particolare ci vengono presentate le principesse, figlie del re vedovo. Le sei bambine sirenette vengono educate dalla nonna e tra esse una, la più giovane, risalta per semplicità e bellezza. Ad ogni bambina è dato un pezzo di terreno da coltivare e mentre le altre cinque giocano, creano forme diverse al proprio piccolo appezzamento di terra, “la più giovane aveva fatto la sua rotonda, proprio come il sole e aveva solo fiori che splendevano rossi come il sole.”[1] La piccola Sirenetta ama il sole, ama la stella più grande, calda e luminosa che c’è e ne riprende la forma, come a cercare di imitarla, di farla sua.

Come già scritto, il padre, re Tritone, è vedovo, così la tutrice o educatrice delle principesse è la nonna, sta a lei sostenere il desiderio e la tensione della piccola Sirenetta. Per le sirene non è concesso andare alla scoperta del mondo degli uomini se non al compiersi del quindicesimo anno, così la Sirenetta vede le sorelle più grandi nuotare verso la superficie, in attesa del suo turno ed ascolta avidamente i loro racconti.
Alla soglia dei quindici anni le è dato andare in superficie, tra mare e cielo, ecco appare a un orizzonte più vicino una nave con fuochi d’artificio e un principe.
“Oh, Quanto era bello il giovane principe! E stringeva la mano a tutti, rideva e sorrideva mentre la musica risonava nella bella notte.”[2]
Se ne innamora, lo guarda, lo segue. Purtroppo, si scatena una tempesta e il povero ragazzo viene scaraventato in acqua. La Sirenetta lo salva (proprio come nella storia disneyana) , con cura lo spinge fino a riva tenendogli la testa fuori dall’acqua e lo lascia sulla spiaggia. Il giovane viene ritrovato da alcune ragazze e portato nel vicino monastero. Ritornata nell’oceano non racconta nulla. Più volte torna alla spiaggia dove aveva lasciato il principe, ma non lo trova. Alla fine, racconta tutto ad una delle sorelle, che lo svela alle altre, fino all’arrivo di un’amica sirena che conosce la dimora del principe. Così la Sirenetta va a trovarlo la notte, senza mai farsi vedere, lo segue nei viaggi e nelle notti al chiaro di luna quando lui crede d’essere solo.
Finché non avviene un interessante dialogo con la nonna, che è ciò di cui desidero parlarvi oggi.

“«Se gli uomini non affogano» chiese la Sirenetta «possono vivere sempre, non muoiono come noi quaggiù nel mare?»“[3]
La Sirenetta accetta la lontananza dei due mondi cui appartengono, ma non per questo ama meno il principe, ella desidera per lui una vita senza fine, lontana dalla morte e dal dolore. Da notare, non chiede come fare per averlo, per stare con lui, chiede se sarà vivo. L’amore della Sirenetta non anela al possesso dell’amato, ma alla sua vita, alla sua eterna vita. Che diversità da come ci viene proposto l’amore oggi..
“«Si invece» disse la vecchia « anch’essi devono morire; e la loro vita è perfino più breve della nostra. Noi possiamo arrivare ai trecento anni, però quando smettiamo di esistere qui, diventiamo schiuma nell’acqua , non abbiamo nemmeno una tomba quaggiù fra i nostri cari. Noi non abbiamo un’anima immortale[…]Gli uomini invece, hanno un’anima che vive sempre, che continua a vivere vive dopo che il corpo è diventato terra; sale attraverso l’aria trasparente fino alle stelle scintillanti!»[4]
Agli uomini è data un’immortalità, un’eternità, la persistenza dell’essere, dell’esistere. Alle sirene no.
“«Perché non ci è stata data un’anima immortale?» disse la Sirenetta triste. «Io darei i miei trecento anni che ho da vivere per poter essere un solo giorno umana e poter aver parte nel mondo celeste!»”[5]
Dall’amore per il principe riscopre l’amore verso di sé, ella non vuole scomparire nel nulla e diventare spuma di mare. La spuma, la schiuma del mare che si infrange sugli scogli e scompare, questa è una bellissima metafora dell’inconsistenza, della perdita totale di sé, del proprio corpo. Il diventare schiuma diventa metafora del nulla. Ella si ribella, desidera un’immortalità PER SE’.
Ma come? Ce lo svela Andersen attraverso la voce della nonna : per avere la vita eterna devo legarmi a qualcuno, dipendere da qualcuno.
“«No,» rispose la nonna «Solo se un essere umano ti avesse così cara da essere per lui più del padre e della madre; se con tutti i suoi pensieri e tutto il suo amore fosse legato a te e facesse porre dal prete la sua mano destra sulla tua come di esserti fedele per tutta l’eternità, allora la sua anima scenderebbe sul tuo corpo e anche tu avresti parte alla felicità umana. Ti darebbe un anima e conserverebbe la propria.”[6]

Il legame con un uomo, che non solo la ami, ma scelga di condividere con lei la sua vita e il suo destino di anima eterna, questo le donerà un’anima. Il valore del sacramento del matrimonio è qui espresso nella sua massima portata, il legame tra due persone che condividono la propria vita, ma anche il proprio destino, l’amore per quell’anima immortale, per quella vita eterna. Si è quindi con-sorti, si condivide la stessa sorte, lo stesso destino di amore eterno. L’anima eterna è una promessa di felicità eterna.
A questo punto la Sirenetta si muove. Si muove nel senso che mentre prima le “bastava” seguire il principe, contemplarlo, ora diventa per lei interessante avere il suo amore. “[…]non riusciva a dimenticare il bel principe e il dolore di non avere, come lui, un’anima immortale.”[7]Talmente interessante da muoverla. Da questo momento in poi il principe e l’anima immortale non saranno mai più separati, pensare all’uno farà pensare all’altro, ed il valore del principe non sta più appena in un amore possibile, ma nella possibilità di un amore eterno per sé.
La conoscevate così la Sirenetta?