L’uomo di neve: la tenerezza di un amore che brucia nel cuore.

La storia narra di un uomo di neve, mi raccomando, un uomo di neve, non un pupazzo. Sembra banale, ma in realtà nella parola “uomo” si nasconde tutta la possibilità che possiamo proprio essere noi quell’uomo.

Perciò parliamo di un uomo di neve, che, appena nato, scopre tutta la vita e la bellezza che lo circonda e subito cerca un rapporto con chi di grande lo guarda. Il sole e la luna, con i quali intrattiene un rapporto giocoso.

L’uomo di neve desidera rapportarsi col mondo, ma non può muoversi. Questo non gli è di obiezione, nel piccolo antro in cui si trova ha già tutto davanti a sé, così interagisce attraverso il primo strumento che possiede, il dialogo. E desidera avere questo tipo di rapporto con tutto, desidera essere-con tutto.

Finchè non vede la stufa.

«..la stufa spandeva un bagliore così dolce, come non è dolce quello della luna e neppure quello del sole, dolce come può essere soltanto il bagliore di una stufa, quando c’è qualcosa dentro. Se qualcuno apriva la porticina, lei tirava fuori una fiammata, era un’abitudine che aveva; quella fiamma illuminò proprio a fuoco la figura bianca dell’uomo di neve, l’illuminò fino al petto.»

É quel fuoco che arde, quel qualcosa dentro che cattura tutto lo sguardo e tutta l’attenzione dell’uomo di neve. E questo fuoco lo illumina fino al petto. Illumina l’uomo fin dentro al suo petto, fino al suo cuore. Lo illumina a fuoco, lo accende, sembra quasi gli dia vita.

Ma l’uomo di neve non é solo attratto da quel fuoco, ne é innamorato. Lo sguardo è proprio quello di un innamorato. Dolce, attento, che ama ogni più piccolo particolare o movimento dell’amata. E così l’uomo di neve è attratto dalla stufa, la ama, la decanta, fino al ritorno del sole.

Questo amore però non ci viene raccontato solo dalle parole dell’uomo di neve ma anche dal narratore che ne parla proprio come di una nostalgia che tutti gli uomini conoscono se non sono fatti di neve, una nostalgia che riguarda tutti, un sentire una mancanza che è propria di ogni cuore, se non è di neve.

Nel suo dialogo con ciò che lo circonda interviene un cane alla catena. Lo schernisce, un uomo di neve che gioca col sole e che s’innamora della stufa. Che paradosso!

Il cane di fronte a questo amore reagisce mettendo in guardia l’uomo di neve da questi rapporti, non ne nega la natura o il paradosso, ma sostiene che questi rapporti lo tradiranno. Per il cane non occorre negare la promessa di felicità della realtà, ma basta chiarirne l’esito, un destino che tradisce questa promessa. Questo è il nichilismo. Non viene negata la natura del desiderio, ma il tradimento della realtà, la delusione e la finitezza delle cose.

Tra la nostalgia e il crescere del desiderio di avvicinarsi alla stufa dell’uomo di neve, il sole continua coi suoi raggi a illuminarlo. Lo illumina, lo scalda, lo scioglie.

Ed ecco che viene svelato il motivo di un tale rapporto paradossale: dentro l’uomo di neve era celato un raschiatoio da stufa.

L’amore dell’uomo di neve, così struggente e nostalgico da scricchiolare nell’intimo è causato dall’appartenenza originaria del raschiatoio alla stufa. Il raschiatoio è parte della stufa e come tale, tende a ricongiungersi ad essa.

Mentre la rileggevo mi è saltata agli occhi una verità a cui avevo posto attenzione, ma in modo marginale.

il raschiatoio e la stufa, bambino 4 anni

L’uomo di neve, protagonista di questa fiaba non si può muovere, il che è inusuale perché in ogni fiaba il fattore fondamentale di cambiamento è il movimento stesso. È, infatti, la scelta, la possibilità di poter muoversi e intraprendere il cammino a cui si è chiamati che determina l’immettersi nella strada della vita. E invece il protagonista di questa fiaba non ha possibilità di movimento anzi la materia di cui è fatto questo protagonista ci preavvisa del possibile epilogo di questa fiaba.

Eppure, lui è vivo testimone di tutto ciò che accade intorno a lui, e tutto ciò che avviene diventa per lui occasione di rapporto, egli segue i movimenti della luna, segue il sole con lo sguardo e rivolge a lui la parola, immettendosi come in un gioco tra bambini.

Il dialogo è forse l’elemento principale di questa fiaba, ma c’è anche un altro aspetto che emerge di più di ogni altra cosa ed è il desiderio.

L’uomo di neve a un certo punto desidera quel movimento più di ogni altra cosa e lo desidera perché si innamora di una stufa.

E quel movimento sarà dato dalla morte stessa che nell’inevitabile sciogliersi rivela la verità più grande di tutte: ovvero che l’amore alla realtà nasce dall’appartenere alla realtà stessa, e che non c’è immobilità che possa essere obiezione a questo rapporto.

Perché mi colpisce tanto? Lavorando ogni giorno con bambini disabili, a volte con disabilità gravi, si vede spesso cedere alla mentalità che un limite (sia esso fisico o cognitivo) possa essere determinante e spesso obiezione a una vita vera, gustosa, piena.

Il “saper fare” o la “possibilità di fare” diventano il metro di giudizio di una vita felice, ma un uomo di neve ci ricorda (in contrapposizione al cane) che la vita piena è lo slancio verso questo amore di cui siamo viva parte e che l’amore non è una malattia, ma è la vita, anche se sei fatto di neve e sei destinato a scioglierti.

Perché il cuore, quello non è di neve, ma brucia, brucia di un amore che è tenerezza eterna.